Cari fratelli,
il 7 maggio scorso il Signore chiamò a sé il nostro fratello sacerdote e missionario Padre Juan Bertolone di 44 anni, 25 di vita salesiana e 15 di sacerdozio.
“Benediciamo Dio perché ci ha regalato un fratello del calibro di P. Juan”. Queste parole, con le quali un superiore della nostra ispettoria espresse allo stesso tempo le sue condoglianze e la sua ammirazione, possono riflettere il sentimento comune di coloro che lo conobbero da vicino.
Perché P. Juan Bertolone fu senza alcun dubbio un uomo eccezionale; un uomo la cui fede arrivò sino a dove la nostra comunemente non arriva. Per questo non sarà molto semplice tracciare un profilo di lui che lo ritragga “a figura intera”. Anche perché non per tutti era facile comprenderlo. Le manifestazioni della sua carità spesso potevano sorprendere e sbigottire.
“La sua confidenza nella provvidenza – scrisse Mons. Aléman in occasione della sua morte – arriva a “scandalizzare” noi, gli uomini prudenti …”.
Quando nel 1971 P. Juan arrivò a Conesa (Rio Negro) per farsi carico provvisoriamente di quella parrocchia, la situazione faticosa del contesto avrebbe potuto mettere paletti al contatto pastorale tra il nuovo parroco e la popolazione. Egli capì immediatamente, come raccontò successivamente, che non avrebbe potuto chiedere nulla a questa gente. Gli rimaneva un’opzione: solamente dare. E dare ciò che non aveva. Così aprì la casa parrocchiale, senza le comodità comuni, a tutte le necessità dei poveri, della gente senza lavoro e senza tetto, di coloro che arrivavano da lontano per i lavoretti durante il periodo della raccolta. Con molti di loro condivise casa e cibo. Dalla casa parrocchiale – testimonia Antonio Checchi, il laico che fu la sua mano destra in tutte le sue opere di carità – passarono centinaia e centinaia di persone che ricevettero tutto ciò che Padre Juan poteva offrire loro, persino rinunciando al suo letto e dormendo sulla sedia, cosa che fece piuttosto frequentemente, o per terra, come lo si vide fare diverse volte.
Atteggiamento singolare di P. Juan con i poveri: lui non si aspettava che andassero a chiedere; usciva a cercarli. I poveri che passato il mezzogiorno aspettavano un mezzo di trasporto in piazza, senza aver mangiato, lui, più di una volta, li invito e li condusse sino a casa sua per dargli da mangiare.
Amore per i poveri, senza confini. E carità pastorale, senza confini. La gente di Conesa non ricorda nessun altro parroco che faceva visita così frequentemente alle cascine sparse per migliaia di chilometri. P. Juan arrivava negli angoli più remoti…. con il mezzo che la Provvidenza gli mandava a seconda del caso.
Dopo pochi mesi dal suo arrivo sorse di fronte alla parrocchia di Conesa il centro per i ragazzi poveri. Senza mezzi né entrate fisse. Chiese aiuto e lo ricevette anche senza chiedere. E lo suddivise senza stancarsi. Non era molto ciò che concretamente poteva offrire a questi ragazzi. Ma lui sosteneva – e lo faceva con il cuore – che anche solo così questi ragazzi stavano molto meglio che nelle proprie case. Tra di loro, nonostante le limitazioni e gli inconvenienti, egli seppe creare un clima di vera famiglia, di spontaneità e di confidenza; atteggiamenti che si manifestavano attraverso il modo in cui questi ragazzi erano abituati ad avvicinarsi agli adulti che andavano a trovarli. Ma soprattutto trasmise loro, quasi come per contagio, il suo spirito di pietà, che essi in una qualche maniera riproducevano con un atteggiamento di semplice raccoglimento nella preghiera, nei canti e nella partecipazione all’Eucarestia. I ragazzi del Centro, alla morte di P. Juan, erano arrivati ad essere 50. All’ora del pranzo P. Juan mangiava dopo aver servito i ragazzi. E in quei momenti, più di una volta, si accontentò dei pezzetti di pane che toglieva dalle sue tasche.
Ma P. Juan avrebbe voluto abbracciare tutte le opere di misericordia e tutte le età. C’erano anche gli anziani: un cinque o sei. “Io ho avuto da lui l’affetto che non ho ricevuto da mio padre”, disse uno di loro. In realtà P. Juan non sapeva mettere dei limiti ai suoi desideri di carità, né sapeva dire “no” davanti ai bisogni degli altri. Più di uno dei superiori dovette avvertirlo: “Vedo un pericolo in Lei – gli scriveva Don Tohil – Lei non sa mettersi dei limiti e molto facilmente si mette a fare di più di ciò che si può…”. Per questo capiamo che le due difficoltà nell’inserirsi pienamente nel ritmo comunitario non erano che il frutto del suo smisurato affanno nel far fronte ai bisogni dei più deboli e bisognosi.
E tuttavia non era ancora contento di ciò che aveva potuto fare. La notte del 2 gennaio (pochi mesi prima della sua morte) dopo aver vissuto intensamente una giornata di lavoro pastorale e aver sepolto una giovane che era morta a causa di una lite il giorno di Natale, Padre Juan dava sfogo ai suoi sentimenti scrivendo così sul suo quaderno: “Sento una responsabilità nei confronti di questa gioventù abbandonata… Signore, io non posso dormire questa notte senza prima prendere una decisione o proporla ai miei superiori. Desidero consacrarmi in modo definitivo a qualsiasi forma di povertà ed indigenza…”. E continuava: “Preferisco sentire le ventate della povertà di Belén, dell’arsura di La Cruz, e poi la tua mano benevola che solleva, rinforza e compensa”.
“Eccessi” nella carità, e “eccessi” nella povertà. In un’altra pagina dello stesso quaderno troviamo rappresentata l’essenza della povertà che lui sognava per sé stesso: “Ammalato in qualche ospedale; morto in qualsiasi cassone; vivo in qualche angolo; senza niente!” con un breviario o un rosario”.
E la parte sottolineata è sua: “Senza niente”.
Ma tutto questo aveva in lui motivazioni molto chiare. Così lasciava scritto alcune pagine dopo: “E’ per te, Signore, per seguirti da vicino”. E’ per loro, i poveri, per salvarli. E’ per la tua chiesa, che si rinnova nel sacrificio dei tuoi figli. Amen”.
Una povertà radicata nel seguire Gesù e nell’ansia di salvare i poveri. E “senza niente”- così, letteralmente, morì. A meno che possiamo definire “avere qualcosa” come il disporre di qualche sottana sgualcita, poche pezzuole ed una macchina da scrivere scassata, che fu tutto il suo patrimonio di affetti personali che fu trovato al momento della sua morte.
Una povertà che era frutto di un grande amore e che andava di pari passo con una vita interiore di fede e con una grande pietà sacerdotale. Una pietà che egli espresse anche attraverso la sua preoccupazione di costruire la nuova chiesa parrocchiale.
Fu messo alla prova dal forte vento che scoperchiò il tetto della vecchia cappella ma chiese e ricevette aiuti non solo per riporlo ma persino per portare avanti di molto la costruzione di una nuova chiesa. Con una richiesta speciale si prese cura della costruzione dello spazio che stava attorno al Santissimo Sacramento. Seppe vedere Gesù nei poveri e nell’Eucarestia. Ebbe un affetto paterno per i primi e le accortezze di un figlio davanti al Signore. E davanti alla Santissima Vergine, alla quale dedicò quasi una decina di piccole cappelle negli angoli più remoti della sua immensa parrocchia. Davanti a queste i vicini si radunavano a recitare il rosario.
E tra i suoi “eccessi” bisognerebbe ancora sottolineare il modo di gestire i beni della sua salute: una salute che distribuiva in mille maniere eroiche, mangiando e dormendo poco e male; e continuando ad offrire agli altri. Sino allo stremo delle sue forze. Fino a quando non poté più. Per tutto questo e per tutte quelle che uno avrà definito “stranezze” di P. Juan, la sua figura ci si presenta come quella di un uomo fuori dalla norma, come quella di un “carismatico” nel vero senso della parola, come quella di un “profeta”.
La sua sensibilità verso lo Spirito Santo e la sua profonda preghiera davano un significato evangelico alle sue azioni. E sapeva anche essere la voce di coloro che non avevano voce spinto solo dall’unico interesse di alleviare il dolore dei suoi fratelli e di far conoscere la loro dignità di figli di Dio. La sua semplicità di spirito e umiltà faceva si che tutti percepissero chiaramente che non cercava il proprio interesse in nulla, che affrontava le cose con l’insuperabile libertà e autenticità di chi ha scoperto l’”unum necessarium” (la cosa davvero necessaria).
In un’epoca di facili schieramenti, egli fu un uomo senza nessuna appartenenza ad un partito o propensione per una generazione, guadagnandosi il rispetto e l’ammirazione di anziani e giovani, i quali riconoscevano che aveva saputo prendere parte nei giochi ma solo per il Regno di Dio. In questo modo si spiega anche il perché delle sue repentine “apparizioni radiofoniche”: quando da Conesa arrivava a Viedma e si presentava nell’emittente locale, più di una volta si interrompeva il programma radiofonico e si dava spazio alla voce di Padre Juan, che era ascoltata e seguita con grande simpatia.
“Si potrà divergere sui sistemi pastorali ed apostolici con Padre Juan –scrisse Monsignor Aléman – ma bisogna riconoscere che era un sacerdote coerente fino alla fine con il Vangelo che predicava e che viveva”. Per questo, alla fine dell’omelia funeraria si mise nelle sue mani, insieme al rosario, il libro del Vangelo: lui l’aveva vissuto senza attenuanti e senza nemmeno calcolare il limite delle sue proprie forze. Della sua vita evangelica potremmo ricordare tantissimi gesti personali! Gesti che un po’ ci spiazzano e un po’ ci impongono di rivedere i criteri per misurare la nostra fedeltà al discorso della montagna.
Come quando ricevette serenamente la sberla da un uomo a cui aveva chiesto perdono per una decisione sua che aveva avuto cattive conseguenze. Come quando non si lamentava neppure quando gli rubavano le sue cose (“se si portano via queste cose… è perché ne hanno bisogno”). Come quando dopo aver parlato molte volte dall’altare riguardo al perdono delle offese, andò per strada il Venerdì Santo con i suoi ragazzi a cancellare con la calce le scritte sui muri che inneggiavano la vendetta, scrivendoci poi sopra frasi come queste: “Cristo morì per tutti”; “Amiamoci gli uni gli altri”. Come quando un giorno all’ora di pranzo venne accolto a Conesa e si avvicinò al Vescovo Diocesano presentando un gruppo di ragazzi poveri incontrati per la strada e ripetendo la frase del Diacono San Lorenzo: “Qui sono le ricchezze della chiesa” (la chiesa parrocchiale di Conesa è intitolata a San Lorenzo). Come quando in una notte d’inverno, riferisce colui che lo accompagnava a fare visita ad una famiglia, portava sotto la sua vesta solo una camicia estiva perché aveva dato il suo maglione ad un povero che aveva freddo.
Come quando rinunciò al viaggio in Italia per assistere suo padre malato di cancro (1969) scrivendo ai suoi fratelli: “Mi sembra che il miglior regalo che posso fare al papà, migliore di un abbraccio filiale ed affettuoso, sono queste opere fatte e offerte al Signore per lui, che in realtà ha il merito di darmi la possibilità di realizzarle attraverso la mia presenza qui…”. E citava ai suoi fratelli, in una lunga ed affettuosissima lettera, le parole del Bambin Gesù nella chiesa dedicata alla Vergine e San Giuseppe, aggiungendo poi: “Il mio sganciarmi risponde a una chiamata del Signore: “Chi non lascia i familiari o le cose non è degno di me”. E conclude: “La testimonianza di povertà che sicuramente questi poveri della periferia (di Patagones) comprenderanno, consisterà nella mia capacità di risparmiare $ 180,000 per stare vicino a loro e aiutare i “senza tetto”… questi potranno fruttificare come il sacrificio di San Francesco di Assisi che conservò per sé una borsa, abbandonando la sua casa ricca …” (24-8-1969).
E in un’altra lettera, ringraziando le insistenze dei superiori affinché viaggiasse, citò ciò che suo Padre gli aveva scritto prima: “Se la tua missione ti chiama, fa come la tua idea ti ispira” (21-X-1969). E in un’altra precedente: “ciò che desidero di più è non tornare in Italia. Partendo da lì ho voluto iniziare una nuova vita. Non mi piace tornare indietro. Preferisco rimanere qui. Papà capisce e Dio lo premierà (10-X-1969).
Su questi ed altri fatti la gente della sua parrocchia seppe molto. Chissà se un giorno si potranno pubblicare “i fioretti di Padre Juan”.
Padre Juan rese visibile la verità di ciò che insegnava Paolo VI nel Evangelii Nuntiandi (N° 41): “L’uomo contemporaneo ascolta più piacevolmente coloro che raccontano testimonianze piuttosto che coloro che insegnano, o se ascoltano coloro che insegnano è perché fanno testimonianze”. E la gente lo ascoltò. Anche coloro che non erano cristiani. Come la sposa di un ebreo che diceva andando nella chiesa parrocchiale: “Vengo a trovare il Buon Dio del Padre Juan…”. O come quell’altra che chiedeva dopo la sua morte una foto del Padre dicendo con la semplicità popolare: “Penso che per il domani sia miracoloso…”.
Padre Juan era nato a Chieri (Torino) il 19 maggio 1931. Il suo curriculum lo scrisse lui stesso così: Sereno e contento sono entrato nel Seminario diocesano nel 1942. Sereno e contento mi sono fatto salesiano nel 1950. Sereno e contento ho abbandonato l’Italia nel 1960 e la mia ispettoria per la Patagonia. Ora compio 25 anni di vita salesiana, 15 anni di vita sacerdotale. Chiedo a Dio che mi illumini per seguire la sua volontà ogni giorno”.
Da quello che scrive si evince che non è “soddisfatto” di quello che ha dato a Dio. E sente l’esigenza di dargli ancora di più. Desidera una dedizione ancora più grande. Ed è cosciente dei rischi e delle difficoltà: “la voce degli amici, della prudenza umana, dei futuri dubbi, delle debolezze fisiche e dei fallimenti economici… Devo superare un battesimo di sangue…”. Tutto questo è stato scritto tutto d’un fiato nella stessa notte che, nonostante l’angoscia, è sentita e descritta da lui così: “Oh notte chiara in cui tutto appare sereno… quasi una notte pasquale…”. E conclude la sua preghiera-riflessione “NON MANCHERAI TU SIGNORE, AL NOSTRO FIANCO” (le lettere maiuscole sono state usate da lui). E più in alto aveva anche scritto: “Signore, quanto è stretta la nostra mente, piena di paura, attaccata al salario, al sussidio, alla borsa di studio fissa, allo Stato. Anche tutte queste paure possono entrare nella tua Provvidenza ma non la limitano”.
Così, confidando soprattutto nelle risorse della Provvidenza, aveva lavorato in precedenza anche a Patagones e nelle città della sua periferia. Per questa gente aveva fatto di tutto. Proprio per questo quando durante i suoi momenti di malattia venne ricoverato nell’ospedale di Patagones, non appena si diffondeva la notizia tra la gente delle città, iniziava un continuo pellegrinaggio verso la sua stanza, tanto da non lasciarlo solo un attimo.
Una descrizione del Padre Juan dovrebbe ricordare anche altri periodi della sua vita: nella Studentato Filosofico di Viedma fu assistente, catechista e professore su diverse materie (1961-1963). I suoi colleghi di lavoro ricordano la coscienza e la meticolosità con le quali preparava le sue lezioni, le frequenti preghiere nella cappella durante il giorno e la prolungata permanenza di fronte al tabernacolo durante la notte. La sua generosità nel prestarsi anche nello sport quando c’era bisogno di uno in più per integrare la squadra. Ricordano anche i suoi frequenti ed acuti mal di testa, le sue notti insonni e la sua sofferenza morale di fronte alle difficoltà proprie di uno Studentato nel momento iniziale duro di un periodo di transizione e cambiamento. Tuttavia al centro di tutto, già allora c’era l’attrazione verso la gioventù abbandonata e verso i poveri. Furono proprio coloro che incontrò e che cercò anche durante la sua attività missionaria della Cordigliera di Neuquén e durante le sue attività pastorali di Comodoro Rivadavia. Essi furono sempre la sua “delizia”. Egli fu “l’amico dei poveri” sino alla fine.
Proprio per questo capiamo quanto gli deve essere costata l’obbedienza che ricevette a metà del 1971: abbandonare un gruppo molto numeroso di poveri di una città di emergenza, a cui si era legato attraverso il suo zelo. Lui capiva che la sua presenza lì non avrebbe potuto essere sostituita e dentro di sé riteneva che i poveri che abbandonava erano coloro che avevano più bisogno. Deve essere stato un momento molto duro e difficile per lui. Ma accettò l’ordine e si trasferì. In una delle “Buona notte” date ai giovani salesiani ci spiegò con semplicità le limpide motivazioni di fede che lo avevano portato a scegliere semplicemente “l’obbedienza”.
E così, con la stessa semplicità, rispettò l’ordine di trasferirsi a Bahia Blanca per essere seguito da medici specialisti, quando, alla fine il suo sfinimento e la sua stanchezza iniziarono a preoccupare tutti. Gli vennero offerti mezzi per spostarsi ma lui prese l’autobus ed arrivò a Bahia Blanca con i mezzi pubblici.
Era così forte la sua accettazione e la sua serenità che molti di noi non riuscirono a sospettare la gravità della malattia né la imminenza della fine. E persino in quegli ultimi giorni non rifiutò di prestare il suo servizio pastorale per quanto le sue forze gli permettevano.
Un Cristo fatto a pezzi che trovò abbandonato nella parte storica della scuola e che portò con sé affettuosamente nel suo letto, era l’immagine di Cristo che soffre nelle sue membra. Ed il gesto di raccoglierlo senza titubare e di portarlo con sé era un po’ l’immagine di tutto ciò che lui aveva fatto durante la sua vita.
Uno svenimento obbligò i medici ad intervenire d’urgenza. Gli venne scoperto un tumore al cervello. Ad una operazione che durò 6 ore ne seguì una seconda giorni dopo. I medici si servirono di tutti gli strumenti del loro sapere per salvarlo e prolungargli la vita con una grande dedizione ed un grande affetto. Ma non recuperò più la coscienza. Con un viso serenamente disteso aspettò così diversi giorni la chiamata definitiva di Dio. I suoi resti furono portati a Conesa. Le esequie furono un trionfo. Il trionfo della fede, della carità, del sacerdozio. Una moltitudine immensa lo accompagnò a piedi per un chilometro e mezzo sino al cimitero, pregando e cantando. Dal marciapiede vedevamo gente di qualsiasi classe sociale che prima guardò e poi si unì al corteo funebre: una vera e propria marcia della fede di un popolo che si univa per esprimere la sua gratitudine e la sua ammirazione.
La popolazione di Conesa, che attraversò periodi difficili nell’espressione della sua fede e nella sua unità ecclesiale, manifestava così l’impatto che aveva prodotto la predicazione quotidiana della carità e della povertà portata avanti per cinque anni.
La chiesa in mattoni non era ancora conclusa. Ma la chiesa fatta di pietre viventi si dimostrava con tutta questa presenza molto più avanzata. Per questo un ex alunno salesiano poté dirgli al momento di salutarlo: “Padre Juan, hai portato a termine il compito che ti aveva affidato il Vescovo quando ti incaricò di costruire la chiesa”.
Sul scendere della sera il cimitero era pieno di gente, più di quanta pensassimo potesse averne Conesa. Non sarà facile dimenticare quei momenti, né i canti ed il credo recitato in coro dalla moltitudine dinanzi ai resti di un salesiano che aveva predicato il Vangelo con la sua stessa vita.
Lì il Padre Juan aspetta la sua resurrezione. Credo di poter dire che la sua sepoltura è stata una giornata di gloria per la chiesa e per la Congregazione Salesiana.
Sento infine il dovere di ringraziare i Dottori Palomo, Lemonier e Zambrana che misero al servizio della vita di Padre Juan una competenza professionale, un affetto e una preoccupazione eccezionali; le Figlie di Maria Ausiliatrice della comunità del Sanatorio del Sur e della comunità di Conesa per l’attenzione costante e fraterna, e tutti i Salesiani e amici che gli hanno offerto cure ed appoggio.
E a tutti chiedo di ricordare nella preghiera Padre Juan e l’ispettoria della Patagonia. E “che Dio ci regali altri fratelli del calibro di Padre Juan”!
Cordialmente, in Don Bosco.
Juan Cantini
Ispettore Salesiano
Bahia Blanca, 21 novembre 1976