Era l’anno 1971. Soffiavano venti di bufera nel paese e si avvicinavano cambiamenti importanti. Conesa (General Conesa, località di circa 6.000 abitanti, situata all’incrocio delle vie 250 e 251 della Provincia di Rio Negro, a nord della Patagonia argentina; con diverse colonie di fattorie lungo
la sua valle longitudinale di 80 chilometri, sulle sponde del rio Negro) non era estranea come località o paese lavoratore alla transizione e ai cambiamenti. Anch’essa era in crisi. E questa si manifestava nella povertà, nello sradicamento delle famiglie senza tetto o in molte altre che si
mantenevano attraverso lavori saltuari. Nell’ambiente religioso e pastorale le cose non erano molto diverse. Resistenze, intrecci, incomprensioni. Ed è in questo contesto che arriva in questo paese, nel 1971, un giovane curato
italiano, salesiano, che di cognome fa Bertolone.
– Chiamatemi solo Juan…iniziò a chiedere, con un sorriso di quelli semplici e sinceri che trasmetteva tenerezza. Arrivò, guardò e iniziò a fissare delle priorità: i poveri, soprattutto i bambini e gli anziani.
“Venite con me a condividere la tavola”
Un aneddoto che molti ricordano è che a mezzogiorno Padre Juan era solito fare un giretto per il centro o per la piazza centrale (la Plaza San Martin, l’unica a quell’epoca) e con il passare delle ore vedeva le persone che lì aspettavano un mezzo per tornare nelle varie colonie e senza mangiare… Venite con me a condividere la tavola.
La razione che la provvidenza gli forniva, lui la divideva e moltiplicava miracolosamente. Dopo pochi mesi che era a capo della parrocchia, la sua prima preoccupazione fu quella di aprire un centro di accoglienza per giovani poveri, orfani, con problemi familiari di violenza o conflitti, provenienti da famiglie numerose e senza o con scarse risorse economiche. Iniziò a suddividere l’austerità e la povertà di questa casa con lo spirito salesiano tipico dei primi tempi, chiedendo aiuto e collaborazione. La gente, vide la sua opera ed iniziò a credere. Le ristrettezze del centro di accoglienza non erano da ostacolo all’allegria, al buono umore e al cibo che lui stesso serviva. I
parrocchiani iniziarono piano piano ad avvicinarsi di nuovo, a comprendere il Vangelo di Padre Juan che non era diverso da quello che annunciava il Regno di Dio lasciando che i ragazzi avessero la priorità (“lasciate che i giovani, vengano a me ..loro è il regno dei cieli e il paradiso su questa terra”).
Diede ospitalità a più di 50 piccoli all’interno delle strutture precarie della casa parrocchiale così che molto presto si dovette ricorrere ad altre complementari, nelle colonie: San Juan, poi a La Luisa e a Frias. Come quei vecchietti che gli stavano intorno, anche questi giovani trovarono subito il centro di accoglienza e l’affetto che non avevano mai ricevuto dai propri genitori (confessione di
alcuni di loro).
Pietra dello scandalo
Per coloro che presuntuosamente si definivano “prudenti”, era una vera e propria pietra dello scandalo. Per la sua ostinata fiducia nella Provvidenza. Era tutta carità. Dal borsello era solito tirar fuori pezzi di pane raffermo che raccoglieva come se fossero per sé e, appena incontrava qualcuno che stava morendo di fame, questi pezzi di pane diventavano la manna. Lo stesso accadeva con le
scarpe, i vestiti personali, le coperte, i materassi..
Un giorno parlando con il Signor Antonio Barbalace (ora un vecchietto su di età che vive a Bahia
Blanca, con figli, nipoti e moglie, in via Alvarado 700) raccontava al nostro gruppo di amici questo
aneddoto: “Eravamo soli nell’ufficio che veniva utilizzato come segreteria, biblioteca, sala per le
confessioni e per le conferenze, guardaroba, e di notte come piccolo rifugio. La sua celletta, ossia
un letto modesto, il tavolo e una lampada nascosti dietro ad un lenzuolo che fungeva da tenda.
Ecco, qui capitò un povero operaio, da poco arrivato nel nostro paese e a Conesa. Era pieno
inverno. Tremava dalla fame e dal freddo, il suo aspetto sembrava supplicante, per non dire
miserevole. Non servirono le parole.
- Signor Antonio, gli prepari qualcosa di caldo, io arrivo subito..
Andò nel guardaroba: non era rimasto nulla, era vuoto.
- Ci sono, ci sono… disse mentre spariva dietro il lenzuolo appeso, che faceva da celladormitorio,
in un angolo della stanza.
- Prenda, se la metta, la scalderà nel frattempo. Ora le cerco qualcosa per i piedi…
Il Signor Barbalace sbirciò e vide che si stava togliendo le scarpe che gli avevano regalato le Suore il
giorno prima (le Suore del collegio Maria Ausiliatrice vicino alla vecchia casa salesiana e al salonecappella
costruito per metà dai primi missionari del luogo: Domingo “Patiru” Milanesio e Pedro
Bonaccina, su via Cardenal Cagliero). Ma quando si chinò per slegarle, gli si aprirono alcuni bottoni
della veste – e così continua il nostro testimone fedele – “allora…vidi con i miei stessi occhi che
sotto non aveva nulla, né camicia né maglietta.. le aveva date all’ultimo arrivato. Lo vidi, e lo
ricordo come fosse oggi stesso…”.-
- “ Ma Lei glielo faceva notare, Signor Antonio, le faceva commenti affinché non eccedesse?”
gli chiesi.
- “Rideva, molto tranquillo.. con quegli occhi grandi da bambino mi diceva:
-
“Antonio, Antonio…abbiamo fede, la provvidenza provvederà, non ci manderà in disgrazia..
Per caso si è mai dimenticata di noi qualche volta? Mai prima, mai ora, mai nemmeno
domani.. Abbiamo fiducia! Il cuore della Provvidenza è più grande e generoso di tutta
questa bella Valle di Conesa…”
Nemmeno questo Juan … (come Battista… il precursore e gran camminatore) Bertolone…
deluse gli abitanti sparsi per le fattorie e le colonie. Anche nelle zone lontane, le famiglie
venivano visitate, ascoltate, servite ed accompagnate… e la loro solitudine, in quel momento
condivisa, era sempre meno solitudine e più solidarietà.
Ebbe alcune difficoltà nell’inserirsi nel ritmo particolare della comunità conesina, tuttavia glielo
dicevano i suoi superiori: “Lei non sa porsi dei limiti – gli scriveva D. Tohil – e facilmente fa più
di quel che può. Il suo affanno sproporzionato nel dare servizio a tutti e ai più bisognosi le fa
sottovalutare la sua salute e le cure nei suoi riguardi…”.
Il forte vento che scoperchiò il tetto
Un altro tra i tanti aneddoti che ci sarebbero da raccontare per comporre il libro della sua vita,
si rifà a quando si scoperchiò il tetto della vecchia cappella. Un vento indemoniato se lo portò
via tutto d’un pezzo. Ma con pazienza, chiedendo aiuto un po’ qua e un po’ là, una lamiera, dei
chiodi, qualche tirante… fu in grado di riporlo, salendo lui stesso sulle impalcature. Ma non si
fermò lì. La prese come un avvertimento… e in poco tempo si mise con un gruppo di volontari
e volontarie a pianificare la costruzione di una nuova chiesa, quella attuale e definitiva.
Gesti che destabilizzano. Persino il suo vescovo era sconcertato dal suo modo di fare, dalle sue
azioni apostoliche e pastorali di una chiesa “dei poveri”, coerente alla sua predica e al suo
modo di vivere. Il “sermone della montagna” fu il riassunto del suo lavoro di evangelizzazione,
- ci commentavano Adolfo Lorenzo (come il Santo patrono di questo villaggio di Conesa) e sua
moglie Inés, (mi riferisco alla famiglia Carosso, di via Mitre 234 di questo paese del rio negro)
nella loro testimonianza personale e condivisa. Questo buon uomo, insieme a sua moglie lo
accompagnò durante le sue ultime ore. “Aveva un tumore più grande di una testa” è solito
ricordare Adolfo, però prima di andarsene espresse nel suo testamento la volontà di tornare a Conesa, la sua casa e la sua famiglia d’affetto… Loro lo portarono a Bahia Blanca con la loro
macchina, sino alla Infermeria Ispettoriale, via Vieytes 150. Lo accompagnarono nei suoi ultimi
istanti di vita. Morì lì e non appena furono sistemati i documenti lo riportarono al suo paese
conesino, che lo aspettava al completo, costernato, addolorato per la sua perdita; tutti erano
però sorpresi per il finale, per la sua decisione ultima, la volontà definitiva di Juan, quella di
rimenare tra di loro, in questo cimitero umile, che aveva visitato molte volte, anticipando il
Requiem… in Pace (Riposa…in pace).
Oggi, qui, un Centro Comunitario nel quartiere “Ribeira” porta il suo nome; è il miglior
monumento alla sua memoria, al suo fare instancabile. Lavora seguendo lo stile di Juan per
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tutta la borgata, e più che per l’area geografica, per coloro che, indipendentemente da dove
vengano, hanno bisogno. Un gruppo umano generoso e anche ammirevole. Un quartiere che lo
vide camminare per le sue strade, i suoi sentieri sparpagliati, distese desolate, tra il fango in
inverno, la polvere ed il sole in estate. Un quartiere pieno di famiglie umili, molte delle quali
discendenti dagli antichi schiavi neri che entrarono attraverso Patagones. Altri meticci, o
mulatti. Nativi, creoli e autoctoni. E vari discendenti di coloni immigrati. Andava a far visita
nelle case, accarezzava questi mocciosetti dagli occhi grandi, dai capelli ricci, molti scalzi, altri
mezzi nudi, la maggior parte malnutriti però felici di vedere il Padre Miracolo della Patagonia,
perché dalle sue tasche “miracolose”, come bisacce senza fondo, tirava sempre fuori un
vestito, un paio di scarpe, un pezzo di pane secco, un frutto… e dalla sua bocca, un invito a
condividere il tetto della casa nella Parrocchia “San Lorenzo Martire”, o ad andare a giocare
insieme agli altri figli adottivi che aveva là, o in alcune sue “succursali” nelle colonie, o ancora